Figlie senza madri

Il senso di abbandono

Non è raro che tra madre e figlia ci sia una dinamica di rispecchiamento; in positivo ciò è collegato al tema del confronto con il genitore dello stesso sesso. In senso deteriore, il rispecchiamento può portare qualsiasi madre a commentare in modo critico, severo, esagerato gli atteggiamenti della figlia. La correzione diventa un’osservazione tagliente, offensiva, distruttiva.

«Tira su la testa. L’ha ripetuto così tante volte mia madre, che nel ricordo la sua faccia è un foglio bianco con queste parole stampate sopra. Tira su la testa. Una voce dall’infanzia (…) Tira su la testa. Me lo dico da sola, da quando lei ha fatto la sua scomparsa. Lo faccio qui, davanti allo specchio. Ubbidisco all’ordine della madre assente.» Lo scrive Elena Mearini, nel libro “I passi di mia madre”.

Il romanzo è una rappresentazione vividissima del continuo confronto che una figlia può interiorizzare. Anche in assenza di un rapporto costante, anche sola davanti all’assenza di una madre, la figlia resta in compagnia dell’immagine materna, archetipo da cui non si sfugge.
Una madre che per tutti noi è il primo amore, o, come dice Almodovar, “la prima cosa bella”.
Essere accettati, accolti, nutriti dalla madre è per tutti segno (che ne siamo coscienti o no) che valiamo qualcosa. Essere criticati, allontanati, rifiutati causa una rabbia inestinguibile mista alla dispera- zione di sentirsi cosa da nulla.
E se si è figlie femmine, alla rabbia si aggiunge la sofferenza di non aver potuto assorbire sicurezze identitarie, doversi inventare da sole. Da storie dolorose possono nascere grandi riscatti, possono temprarsi donne coraggiose, interessate a lasciare una traccia della propria presenza nel mondo: lavorando sodo, realizzandosi nella società, crescendo, talvolta, famiglie numerose che rappresentano “la vita come avrebbe dovuto essere”. Sono guerriere.

Ma c’è un altro lato della faccenda, per cui la sofferenza può dare origine ad altro male, poiché può accadere di trovarsi a ripetere il copione, ad esempio attraverso la continua ricerca di persone critiche, fredde, lontane. Quante figlie che non hanno ricevuto nutrimento la cercano in amori impossibili…
Agata, la protagonista de “I passi di mia madre”, incarna perfettamente questo profilo. Dopo l’abbandono della madre, la sua ricerca di “un amore mancato”, la spinge tra le braccia di Samuele, un uomo sfuggente e che non la amerà mai. Il rapporto di Agata col cibo è estremamente disturbato: tra rigidi digiuni e voracità compulsiva, si punisce e si maltratta sottraendo a se stessa l’amore che in- consciamente non crede di meritare. Il gioco degli incastri della protagonista è tutto volto a riempire i suoi vuoti con forme sbagliate, che deformano e straziano i buchi già presenti nel suo cuore. Un tentativo dispertato di curarsi le ferite senza sapere come si fa.

Sono le “donne che amano troppo”, che accettano compagni freddi, distanti, implicitamente o esplicitamente violenti. E ci sono, altresì, le donne che per sentirsi all’altezza di un amore non ricevuto si massacrano nell’ossessione per la bellezza, per la magrezza. E quelle che, sentendosi perse, man- giano in modo malato, buttando il cibo in bocca come si buttano nella spazzatura le cose inutili. Sentendosi non molto di più che un accumulo di immondizia.
Sono realtà che incontro ogni giorno e mi sfida no a trovare le chiavi che aiutino una donna ferita a diventare una donna felice. Mi sembra di incontra- re crisalidi, e dover dare un nutrimento di pensieri e parole che consentono alla farfalla di prendere il volo. E non posso sentirmi estranea alle loro ferite, in quanto figlia a mia volta nostalgica di sua madre e, oggi, soprattutto in quanto madre di una figlia femmina alle prese con il tentativo di essere un genitore adeguato. Una madre presente ma non soffocante, educativa ma non critica, amorevole ma non simbiotica. E vivendo in prima persona la sfida, e vedendo quanto è complessa, ho smesso da tempo di giudicare.
Oltre al giudizio, c’è la possibilità di accettare la realtà così come è, di vederla, e poi cambiarla, restituendo a madri e figlie danneggiate ciò che serve davvero: un’altra possibilità

La ricerca di un amore mancato

Agata è una editor quarantenne che vive nel quartiere cinese di Milano. Ossessionata dal vuoto e dalla mancanza, cerca di ovviare alle sue carenze emotive attraverso un rapporto morboso sia con il cibo che con Samuele, il classico “latin lover “ sfuggente con cui crea una relazione di sudditanza e dipendenza. In quest’uomo Agata rivede e rivive i comportamenti di una madre narcisista, innamorata di sé soltanto, scomparsa senza dare spiegazioni quando Agata era appena una ragazzina. Giunta all’età adulta, la donna deciderà di indagare sulla scomparsa della madre, pensando che il suo ritrovamento possa mettere fine al proprio vuoto. Agata, durante l’indagine, scrive una lunga lettera- romanzo alla madre, immaginando la sua vita dal giorno della scomparsa in poi, con l’intento di ricostruirne la storia e ritrovarla almeno nelle parole scritte. La realtà, riserverà invece una verità diversa, dura ma necessaria ad accettare ciò che ci appare insostenibile, il gesto di una madre che abbandona una figlia.
Elena Mearni, I passi di mia madre, collana Varianti (160 pp. – 15,90 euro)