Se ne è andato così. Un infarto lo ha privato del futuro e lo ha allontanato da me. Ma io lo sento sempre, anche oggi, la prima Vigilia di Natale in cui la sua mano non è nella mia e il suo sguardo non mi scalda l’anima.
È stata dura: giornate in cui mi sentivo senza bombole d’ossigeno né erogatore, notti in cui scaldarmi era impossibile: ho bevuto tisane rilassanti e ingurgitato cioccolato fondente, ma le lacrime non hanno trovato un argine ad arrestarle. Silenzio e dolore, quello che ti si appiccica ai vestiti e alla pelle e non ti molla, neppure se quei vestiti li scuoti con vigore e la pelle la scortichi fino a farla sanguinare.
Mi sono ammazzata di lavoro per rincasare tardi la sera. Sono andata al cinema e a teatro più spesso di quanto desiderassi davvero e ho cominciato a organizzare gli acquisti natalizi già a fine ottobre.
Ho sempre amato il Natale, adoro l’idea che tutto sia perfetto. Stendo in anticipo la lista delle persone cui intendo fare un regalo e il tempo libero lo trascorro così tra mercatini e centri commerciali, alla caccia del pensiero giusto per ciascuno. I regali in serie non fanno per me: quando, anni fa, Annabella mi ha donato la stessa spilla che aveva acquistato per tutte le cugine, la sensazione di non valere neppure un minuto dei suoi pensieri è stata uno schiaffo, uno di quelli che arriva all’improvviso e brucia. Ecco perché mi sono sempre impegnata a non lasciare nulla al caso, a dedicarmi ai doni natalizi con la stessa dedizione con cui un biologo si avvicina al microscopio, alla ricerca di quel microrganismo che nessuno ha ancora individuato e che può fare la differenza.
Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un oceano d’acqua e quell’acqua mi è arrivata alla gola ieri sera, quando ho realizzato di aver dimenticato zia Franca e zio Gustavo, nonché i loro nipoti Pietro e Gianluca. Un brivido mi ha percorso la schiena e il cuore ha perso più di un battito. Sapevo che oggi avrei avuto una mattinata impegnativa: riunione fiume al lavoro e aperitivo in caffetteria, per l’usuale scambio di auguri con i clienti più assidui.
Ed eccomi qui, alle 18:30, mentre mi infilo in auto con la testa carica di mille pensieri. Mi immetto nel traffico, direzione pasticceria La Favorita, dove ritirerò la torta di frutta per gli zii, noti per la loro golosità. Per i piccoli Pietro e Gianluca, invece, ho già verificato che il negozio in Corso Roma ha giochi di società adatti alla loro età e istruttivi, il che non guasta.
Occorre muoversi, però. I negozi chiudono alle 20:00 e devo attraversare la città, per poi concludere i miei acquisti da Paola, fioraia di fiducia, che davvero non può fare tardi stasera. Deve prendere un treno e raggiungere i figli in Liguria. Domani, quando ogni regalo sarà stato distribuito, potrò finalmente portare i fiori a mio marito e vivere il mio vero Natale, con lui.
Le auto sembrano moltiplicarsi, accumulo ritardo a ogni incrocio. Il mio stomaco fa una capriola ogni volta che controllo l’orologio e lo spirito natalizio, così difficile da abbracciare quest’anno, si allontana anni luce. Inchiodo a un semaforo rosso e controllo lo specchietto retrovisore. Un uomo vestito da Babbo Natale tiene in mano un cartello con la scritta “rilassati.” Strano. Sembra che mi guardi e che quel cartello sia stato scritto proprio per me. Il semaforo ora è verde, ma l’auto che mi precede non si muove. Il suo motore si è arrestato. Sono sempre più nervosa. Manca davvero poco alle 20:00. Lo sguardo va nuovamente allo specchietto retrovisore e Babbo Natale è ancora lì. La sua barba non è finta e gli occhi, sotto il cappello rosso, sono un mare calmo che, per un attimo, è calore per il mio cuore. Il cartello che ha in mano è cambiato. Ora c’è scritto “Non ti affannare. Il regalo più bello ce l’hai già.”
Un clacson mi avvisa. La strada è libera. Mi avvio, ma i miei occhi tornano allo specchietto retrovisore: nessuno. Ho il cuore impazzito e devo accostare l’auto al marciapiede per tranquillizzarmi. Scendo e mi guardo intorno. Babbo Natale è sparito. Non capisco. Mi impongo un respiro regolare, mi sistemo una ciocca dietro un orecchio e, finalmente, tutto si fa chiaro. Quando, poco dopo, passo davanti al negozio di Paola e mi accorgo che è chiuso, non mi dispero. Dopo la cena a casa della mamma, stanotte, avrò tutto il tempo per preparare il regalo azzeccato per il mio amore. Prenderò uno dei miei fogli di carta di riso, pieni di ghirigori colorati e leggeri come i pensieri felici, e una penna. Sarà il mio cuore a parlargli. Lo ringrazierò per essere stato la mia boccata d’aria, per ciò che mi ha regalato nel nostro tempo insieme e per aver fatto sì che io mi riconoscessi in lui e lui in me. Gli racconterò la fatica del mio quotidiano e gli chiederò di prendermi per mano quando vedrà i miei occhi appannarsi e il mio sorriso incrinarsi. Il mio dono di Natale per lui sarà un po’ anche il mio, perché abbiamo sempre condiviso tutto e continueremo a farlo, per sempre.
Connie Bandini